A questo punto, è molto probabile che tu abbia visto The Social Dilemma e ti sia fatta un’idea su come i social monetizzino (e cioè con gli inserzionisti), ma magari ti è sfuggita la risposta di Facebook a questo documentario.
Cosa troverai in questo articolo
Il docu-dramma e le accuse volte.
La risposta di Facebook a The Social Dilemma.
Cosa fare per non sentirsi sopraffatti dai nostri stessi passatempi.
The Social Dilemma è un film Netflix diretto da Jeff Orlowski, diventato virale negli ultimi mesi. Il docu-dramma è strutturato su due piani narrativi: la storia di una famiglia americana dipendente dalla tecnologia, intervallata da parti di interviste rilasciate da personaggi noti nel mondo social e tecnologico del calibro di Tristan Harris, (ex Google Design Ethicist, colui che in sostanza ha disegnato Gmail) e Tim Kendall (ex CEO di Pinterest ed ex direttore della monetizzazione in Facebook).
Fa molto sorridere il fatto che sia diventato così “condiviso” e chiacchierato proprio perché la viralità dei contenuti, caratteristica delle piattaforme social appunto, è uno dei temi più dibattuti e additati nel documentario.
Social addicted, scettici o soltanto curiosi saranno sicuramente affascinati (e i più “esperti” annoiati), dalle rivelazioni/accuse che si susseguono durante il corso del film.
A pensarci bene, niente di nuovo: questione di privacy, tecnologia persuasiva, nudging (rinforzo positivo a seguito di una determinata azione), polarizzazione politica.
La risposta di Facebook a The Social Dilemma è arrivata tramite un’infografica sullo stesso blog del social network.
La trovi qua in originale e di seguito sintetizzata.
Facebook risponde alle accuse di The Social Dilemma in 7 punti
Trovo lo stile Facebookiano riconoscibile anche in contenuti “di difesa” come in questo caso. Il documento prodotto infatti è di facile lettura (i paragrafi sono brevi e concisi), immediata comprensione (un elenco numerato riassume facilmente i punti affrontati e difesi) e facilmente condivisibile.
Il pdf si articola in 7 punti che rispondono alle specifiche accuse:
- La questione della creazione di dipendenza. Non è certo la prima volta che i BIG della tecnologia come Facebook, Google o Amazon sono accusati di creare un ambiente virtuale dal quale l’utente non vorrebbe mai disconnettersi. Ne ha parlato anche Scott Galloway nel libro del 2017 The big 4. La tecnica utilizzata viene definita nudging, si basa sulle scienze comportamentali ed è rappresentato da un rinforzo positivo a seguito di un’azione. Nel digital questo avviene tramite policy, linee guida o “by design”. Nella vita reale, succede con i biscottini e i cuccioli (e gli uomini) per intendersi. Tristan Harris associa questo meccanismo alle slot machine che ti gratificano e ti portano a ripetere l’azione (proprio come funziona l’aggiornamento del feed). La risposta a questa accusa è la costante ricerca di valore aggiunto (e non dipendenza). A sostegno della difesa, il rilascio del 2018 che ha cambiato l’ordine di visualizzazione dei post, provocando un decremento di 50 milioni di ore trascorse sul social, con un’effettiva perdita di appeal di conseguenza, che cozza con la teoria della dipendenza.
- Utenti come prodotto. Il secondo capo di accusa punta sul personale. Se non stai pagando il prodotto allora il prodotto sei tu, è una delle frasi più condivise. Facebook risponde semplicemente spiegando il suo modello di business: il prodotto/servizio è gratuito e si basa sulla pubblicità; un po’ come la TV commerciale per intendersi.
- Algoritmo. Qua fa molto ridere; l’intelligenza artificiale alla base dei famosi “post suggeriti di Facebook”, è la stessa di Netflix e che probabilmente ha consigliato anche a te, appassionata di Instagram & Co., The Social Dilemma e che ti suggerirà presto altro di simile sulla base della tua scelta. Tra l’altro non so se hai già fatto caso a come comincia un film su Netflix o a come si passi da una puntata all’altra della serie. Nel primo caso, il film comincia non appena sei entrata nella scheda; non hai ancora scelto definitivamente, ma ti ritrovi nel set. Nel caso di una serie televisiva gli episodi si succedono veloci e invogliandoti ad andare avanti, pena il binge watching. Ad onor del vero, aggiungo anche che secondo lo stesso principio Facebook aggiunge anche pubblicità; contenuti di terzi a fini di monetizzazione esterna. Netflix (ancora) no.
- Protezione dati personali. Qua non ci sono giri di parole, Mark Zuckerberg si appella a tutti i cambiamenti/aggiustamneti effettuati con la Federal Trade Commission e sottolinea che nonostante il modello di business si basi sulle inserzioni di Adv, nessun dato sensibile viene trasmesso agli inserzionisti. Mi chiederei anche chi ha bisogno del mio indirizzo di casa per spedirmi una pubblicità, quando può sapere esattamente cosa mi piacerebbe acquistare e quale sarà la tipologia di video che convertirà la mia visualizzazione in sales, con un Click.
- Polarizzazione. Facebook è cosciente dei rischi e cerca di ridurre questi contenuti rischiosi. Ci sta.
- Elezioni 2016. Hanno sbagliato, ma nessuno è perfetto. Dal 2016 hanno rafforzato i sistemi di protezione. Ti lascio un post interessante su Cambridge Analytica per rispolverare quanto accaduto.
- Disinformazione. FB lavora con con 70 partners fact- checking per assicurarsi la bontà delle notizie che circolano e combattere le fake news.
We know our systems aren’t perfect and there are things that we miss. But we are not idly standing by and allowing misinformation or hate speech to spread on Facebook.

Cosa fare per non sentirsi sopraffatti dai nostri stessi passatempi
Che tu usi i social network come semplice passatempi o strumenti di connessione con amici, famiglia e perché no, clienti, a volte ci si sente sopraffatti.
A me è successo con Instagram; ero talmente immersa nei meccanismi che non mi perdevo una storia, aggiornamento del feed o qualsivoglia notifica e sono arrivata a sentirmi affannata.
Questo tipo di sentimento non è comune soltanto a chi con i social ci lavora e a chi ci ha costruito il proprio Personal Brand, ma può appartenere anche all’adolescente che posta un selfie o ad una mamma che cerca consigli.
I meccanismi sono veramente particolari e portano delle conseguenze gravi e con degli effettivi riscontri nella vita reale.
Si parla di dismorfia da snapchat, cioè cercare di assomigliare al proprio viso filtrato anche tramite la medicina estetica, o magari di essere vittime di clickbait o truffe solo perché “l’ho letto su Facebook”.
Se per un motivo o per un altro, ti senti sopraffatta anche tu dai social network ecco alcune strategie che puoi attuare (alcune dal documentario The Social Dilemma):
- riduci il numero delle notifiche attive: questo può aiutare ad essere meno stimolati nell’aprire i social e magari passarci la successiva ora scrollando compulsivamente.
- pensa anche di cancellare il tuo account social: senti i brividi lo so
- verifica i fatti e fai ricerca prima di condividere: a volte non sono semplicemente fake news, ma disinformazione.
- assicurati di avere diversi punti di vista per evitare l’eco chamber e cioè la storia raccontata da una sola campana.
Tutto questo può aiutarti ad uscire dalla sola consultazione dei post o delle storie di un social, portandoti magari su google o magari a cercare qualche libro, chi lo sa, le vie di Facebook sono infinite.